... 114 anni fà, il 30 nov del '900, moriva Oscar Wilde, dopo aver consegnato al mondo una delle opere che amo maggiormente: "De Profundis". Un libro d'amore per la vita, ma soprattutto per l'arte, scritta dall'amante che sentiva di averla tradita, per rincorrere le chimere della passione carnale, per un uomo capriccioso e ricco. Oscar Wilde fù per anni un fiore all'occhiello dell'Inghilterra bene, intelligente, raffinato osservatore della società ed i suoi vizi, impareggiabile scrittore versatile ed ironico. Nonostante il talento, la sua inclinazione sessuale, fù motivo di accanimento ed arresto. I lavori forzati ne fiaccarono corpo e mente, ma nel buio e freddo della prigione, la consapevolezza del suo talento non venne meno e con forza struggente, descrisse sè stesso, l'artista, con una bellezza di metafore che ne elevarono lo status e percezione ad universale, con riferimenti alla vita di Gesù, privi tuttavia di connotazioni alla fede religiosa, come un moderno "Tommy" degli "The Who". La società è strana, ogni tanto reclama i suoi martiri, mentre altre volte gli stessi reati ottengono reazioni opposte ed imprevedibili, basti pensare alla carriera di Bowie, che a distanza di soli 60 anni, avrebbe lentamente iniziato ad imporre una figura androgina e bisessuale alla stessa Inghilterra di Wilde. Ció che aveva condannato a morte lo scrittore, nel 1972 fà balzare in cima alle classifiche Ziggy Stardust e cementa il successo di Bowie. La moda ha portato in scena l'abbigliamento Dandy per la donna, ispirandosi allo stile elegante dei velluti cupi, del bastone e bombetta del padre di Dorian Gray...e le parole di Wilde, restano ancora oggi un'emblema di acuta riflessione sui comportamenti, nonchè vizi dell'animo umano. - Elena Arzani
domenica 30 novembre 2014
venerdì 28 novembre 2014
David Bowie Is - a cura di Elena Arzani
David Bowie is
Il film ispirato alla mostra
record (311.000 i visitatori) dedicata a David Bowie e conclusasi lo scorso
Agosto 2014 al V&A museum di Londra, è portata sui grandi schermi da Hamish Hamilton, il
regista Premio BAFTA degli Academy Awards e della Cerimonia di Apertura dei
Giochi Olimpici del 2012.
Il Victoria & Albert
Museum, è un’istituzione nazionale, che racchiude la storia del mondo, della
società multietnica che lo ha abitato e colorato nel tempo.
Entrare all’interno delle sue
sale allestite in onore del grandissimo artista David Bowie, ha tutto il sapore
di una visita nella magnificenza delle Piramidi di Giza, adornate di abiti
teatrali, testi ed immagini narranti le gesta dell’artista.
E’ difficile menzionare David
Bowie, senza ritrovarsi davanti agli occhi i tanti personaggi da lui
interpretati nel corso della carriera, ma il V&A riesce a stupirci,
consegnandoci un’immagine a noi sconosciuta, che andrà ad arricchire le sfaccettature
del diamante.
Nel 1947, nel vuoto più
totale dei sobborghi inglesi rasi al suolo dalla guerra, nasce Davie Johns,
bambino di bell’aspetto, che fin dai primi anni dimostra una spiccata
personalità ed esibizionismo, al punto di esser ripreso perfino nelle pagelle
scolastiche.
Davie ama disegnare, porta in
tasca un taccuino pronto ad esibire, con idee, spunti e disegni, in cui
tratteggia con marcata autostima, l’orientamento inevitabile della sua vita, ad
11 anni inizia a frequentare la scuola di Bromley, dimostrando un forte
interesse per il rhythm and blues, ed il rock 'n' roll.
Ha da poco ricevuto in dono un saxofono bianco, con il quale si cimenta
ispirandosi a Little Richard.
In modo delicato, la mostra proposta dal
V&A, sposta il riflettore dalla scena musicale, all’uomo, divenuto: David
Bowie.
Interessante infatti notare, quanto
nessuno dei curatori appartenga al mondo della musica; ancor più affascinante
constatare che la maggior parte dei pezzi esposti nelle sale, provengano
dall’archivio privato dell’artista, che come un moderno Faraone Egizio, non
solo ha creato nei primi anni della sua carriera personaggi di fantasia
ispirati al mondo ultraterreno delle stelle, degli alieni, ma ha anche
conservato con estrema dovizia di particolari, tutti gli oggetti che tracciano
il percorso della sua vita, unitamente a quella di ciascun personaggio
inventato.
Quando David, da Bromley si
trasferisce a Soho, nel cuore pulsante della Londra più irriverente, trova a
mio avviso, la chiave che aprirà le porte al suo successo planetario,
attraverso l’incontro con Lindsay Kemp.
Bowie, ha un’innata
propensione al moderno self-marketing ed un’intuizione sottile dei desideri
sopiti dell’animo umano, al pari del geniale Andy Warhol, che dall’altra parte
dell’oceano riuscirà a vendere agli Americani, il loro stesso sogno americano.
Non stupisce quindi che i
destini di entrambi si intreccino, si influenzino, concludendosi con
l’immedesimazione cinematografica di Bowie, che meravigliosamente veste i panni
del padre della Pop Art.
Lindsay Kemp, insegna a David
l’arte del travestimento, dell’interpretazione o se vogliamo, l’astuzia
dell’omerico Ulisse e del cavallo di Troia: dentro ad un costume, puoi essere
chiunque tu voglia essere.
Come direbbe Oscar Wilde:
“datemi una maschera e vi dirò tutta la verità”.
Il genio trova la via per
poter esprimere senza costrizioni mentali di sorta, ogni sua inclinazione, come
in un caleidoscopico turbinio di colori e performance, che lasciano tutto il
mondo sbalordito.
David, come dimostrano i
disegni, gli scritti ed anche numerosi video, allestiti nelle sale del V&A,
è un accentratore, che pianifica ogni più piccolo dettaglio del lavoro, che
segue con la stessa scrupolosità di un direttore marketing, non privo tuttavia
nella vita del libertinaggio più sfrenato.
Bowie ama circondarsi di
collaboratori specializzati, come lo stilista: Kansai Yamamoto;
creatore dell’iconico abito in vinile nero per il tour Aladdin, che non crede
ai suoi occhi, quando raggiunge il cantante a New York e lo vede scendere dal
soffitto, esibendosi in performance durante le quali indossa la sua collezione
d’indumenti femminili.
Ma Bowie, oltre ad esprimere
un marcato interesse verso il buddismo e l’oriente, fin da ragazzo si espone in
modo coraggioso per rompere le barriere degli stereotipi sessuali, della
censura, provocando in continuazione l’opinione pubblica ed incuriosendola
circa le sue personali inclinazioni.
Colpo da maestro o forse mera
fortuna (ai posteri l’ardua sentenza), quando
nel 1972, confessa pubblicamente nell’articolo "Oh! You Pretty Thing”:
“Sono gay, lo sono sempre stato, anche quando ero Davie Jones”. L’attenzione
mediatica risponde alla provocazione ed in breve il suo album “Ziggy Stardust”
schizza in cima alle classifiche.
Il “Duca Bianco”, vestito da Alexander
McQueen, è un artista, una superstar, tra le più audaci, geniali ed eroiche,
che ha tentato sempre e continuativamente di imporsi rompendo le regole,
spezzando gli schemi, senza per questo proporci opere banali, ma con un occhio
attento e preciso, minimalista a sprazzi, che ha saputo cogliere in circa 70
anni, tutti i tratti distintivi della società, dei suoi linguaggi: la musica,
il design, la fotografia, l’arte, il cinema…
“David Bowie is” è una mostra
rivoluzionaria, non tanto per la struttura proposta dai curatori, quanto per l’intento
di comunicare un messaggio importante: “We could be heroes, just for one day”.
Un artista, che ha dapprima sognato la propria
fortuna, per poi crearla con un incessante lavoro quotidiano, questo è David
Bowie, secondo me: un eroe del nostro tempo!
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Collaboratrice in qualità di inviata speciale (fotografa e scrittrice) di:
. "Frattura Scomposta" - Contemporary Art Magazine
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Ora in Mostra a Chicago:
giovedì 27 novembre 2014
Azimut/h Continuità e nuovo
Azimut/h Continuità e nuovo
c/o Peggy Guggenheim Museum,
Venezia
dal 20 settembre 2014 al 19
gennaio 2015
La mostra curata dal critico
d’arte Luca Massimo Barbero celebra la breve ma intensa attività
visivo-concettuale di Azimut/h, intorno alle quali ruotarono personaggi illustri
delle neoavanguardie, in un percorso espositivo di 6 sale all’interno del
prestigioso Peggy Guggenheim Museum di Venezia.
E’ appena terminata l’estate,
quando in quel caldo settembre del ’59, Piero Manzoni ed Enrico Castellani, si
incontrano ed insieme fondano Azimut/h. (due realtà distinte, differenziate
solo nel lettering: Azimuth, la rivista; Azimut, la Galleria d’arte).
Ci troviamo a Milano, sono
passati circa 10 anni dalla seconda Guerra Mondiale ed il capoluogo lombardo è
divenuto polo di attività culturali, in un fervore brulicante e creativo,
all’insegna della ripresa economica.
Piero Manzoni, ha 26 anni,
studia legge all’Università del Sacro Cuore, dopo aver terminato studi classici
dai Gesuiti, in compagnia di Vanni Scheiweller. Dipinge e partecipa a mostre
già da qualche tempo, esponendo tele di paesaggi dipinti ad olio inizialmente,
per poi dedicarsi alle "tavole di accertamento" e gli
"Achromes", che mostra nel
1958, in una personale con Enrico Baj e Lucio Fontana, padre dello Spazialismo
e suo caro amico di famiglia.
Enrico Castellani ha 29 anni,
si è laureato all’École Nationale Superieure, tre anni prima in Belgio, è serio e posato, amico di
Bonalumi, Tobey e Fontana, si dedica come
artista allo studio dell’estroflessione ed in quell’anno realizza la sua prima
superficie in rilevo.
A darci il benvenuto
all’ingresso del Peggy Guggenheim Museum è la “Base magica”, piedistallo sul
quale il visitatore è invitato a salire e poggiare i piedi, trasformandosi in
una scultura vivente; provocazione che in modo giocoso ed irriverente, tipico
del pensiero Manzoniano, ci sintonizza su quello che sarà il file rouge della
mostra, consigliandoci un cambiamento di prospettiva e percezione dell’opera
artistica e stabilendo un dialogo diretto ed arguto in cui siamo chiamati a
diventare parte integrante dell’opera stessa. Proseguendo per le sale
espositive opere di Lucio Fontana, Alberto Burri, Jasper Johns, Robert
Rauschenberg, Yves Klein, Jean Tinguely, Heinz Mack,
compagni di viaggio di Piero Manzoni ed Enrico Castellani, daranno nuovamente
vita ai mesi che dal settembre 1959, al luglio 1960, videro il travolgente
operato di Azimut.
Accompagna le creazioni più
identificative, come la “Linea”; la “Merda d’artista” e gli “Achrome” di
Manzoni, diverse tele di Castellani, il “Petit monument” di Mimmo Rotella; “Io
sono un Santo” di Lucio Fontana ed il “Fai da te” di Jasper Johns, l’opera
multimediale di Zenith, proiezione che ricrea la magica atmosfera polverosa
della Milano di quei tempi e l’emozione artistica suscitata a livello nazionale
ed internazionale da Azimuth. Il Catalogo monografico edito da Marsilio Editori, completa
la mostra con studi scientifici ed articoli di riviste dell’epoca, documenti
inediti, letture trasversali di saggi.
Elena Arzani
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Collaboratrice in qualità di inviata speciale (fotografa e scrittrice) di:
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Venezia, Italia
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