giovedì 25 dicembre 2014

Marlat at Teatro Regio, Parma - Recensione a cura di Elena Arzani

Marlat 
Teatro Regio di Parma
11 Dicembre 2014
(I Marlat - foto credits: Elena Arzani ©)

L’11 Dicembre 2014, presso lo storico Teatro Regio di Parma, uno dei più importanti della tradizione musicale, si sono esibiti i Marlat, fiore all’occhiello della musica Dark wave emergente made in Emilia.
La band tutta italiana, si è distinta nel panorama europeo soprattutto in Svizzera, con sonorità gotiche, la cui cifra stilistica è un romanticismo sì minimale e oscuro, ma quanto mai ricco di tensione emotiva.
Le liriche attingono al mondo simbologico dei sogni, un paesaggio notturno ed onirico, capace di esprimere una sincera poetica rock, sganciata dalla più o meno pedissequa imitazione di modelli altrui. Dal primo all’ultimo brano “ruvidacenere”, EP composto da sei brani edito in collaborazione con l’etichetta SFEM / The Lads Production, (successivo al primo Ep autoprodotto dal titolo “nottesempre”, in cui spiccano i singoli “Triora” ed “Halloween”), è una travolgente cavalcata dalle atmosfere post-punk, a tratti drammatica, in cui soprattutto all’interno del singolo estratto “Lady Anne” il cuore sembra volersi liberare dalle costrizioni imposte e dal vuoto, in un moto claustrofobico dell’essere, ben interpretato nel video realizzato da Francesco Marchini.
Trasmesso da una folta rete capillare di radio web (tra le tante: Radio Darkitalia, Radiogas e RadiOndAnomala), “Lady Anne”, è stato selezionato ed incluso nella compilation “Gothic room 2013”, “Undergroundzine nr.4” e “Swiss Dark Night 28/01/2012 – 28/01/2013”. 
Secondo singolo estratto: “Lasciami qui”,  è accompagnato da un video girato da Francesco Marchini e montato da Matteo Taglioli, in cui la suadente e carismatica voce dei Marlat, Francesca Mora, coniuga alla perfezione le istanze dark con quelle più sensibilmente romantico-decadenti, mentre Filippo Marlat, voce e chitarra, accompagnato da Alberto Clerici alla batteria e Luigi Pizzuti alla chitarra, coniuga alla perfezione i colori della dark wave a quelli del rock.

I Marlat incarnano una delle espressioni più interessanti ed originali della musica made in Italy e siamo certi, che in futuro sentiremo molto parlare di loro...
Elena Arzani


I Marlat sono: Filippo Marlat (Filippo Galleani): voce e chitarra - Fra Ange Noir Marlat (Francesca Mora): voce e tastiere - Luigi Pizzuti: basso - Alberto Clerici: Batteria 


Video di “Lady Anne” by Francesco Marchini: MARLAT - Lady Anne
Pagina Facebook: https://www.facebook.com/marlatband?fref=ts
Canale Youtube: https://www.youtube.com/user/marlatmarlat


 Il testo è tratto dalla Recensione Pubblicata su Tutto Rock a cura di Elena Arzani
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Elena Arzani
. Art Director di Tutto Rock 
. Inviata Speciale/redattrice di Frattura Scomposta - Contemporary Art Magazine
. Pagina facebook



mercoledì 24 dicembre 2014

LACUNA COIL - Cristina Scabbia - Ph. Elena Arzani © 2014 - Xmas Party by Rock Tv Italia c/o Fabrique, Milano

LACUNA COIL - Cristina Scabbia
Ph. Elena Arzani © 2014 - Xmas Party by Rock Tv Italia c/o Fabrique, Milano

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"...today I'm gonna fly
There's nothing that can keep me on the ground
Touch the sky, I'm free inside

I'm free to do what I like
I'm celebrating my life
I'm free to be what I like
I'm celebrating my life
I'm gonna get what I like
Gonna celebrate till I die
I'm celebrating my life..." -


LACUNA COIL





"Ma io non mento al limite sto zitta. ... sto zitta." – Maria Antonietta


"...Ma io non mento al limite sto zitta. ... sto zitta." Maria Antonietta - Giardino Comunale. 
Sassi / © & Ⓟ 2014 La Tempesta Dischi.
Ph. Elena Arzani © 2014 - Festival "Ladies sing it better" - Sound Bonico - Piacenza

giovedì 18 dicembre 2014

"20.000 Days on Earth" di Ian Forsyth, Jane Pollard, con Nick Cave - A cura di Elena Arzani

Un film di Ian Forsyth, Jane Pollard. Con Nick Cave, Susie Bick, Warren Ellis, Darian Leader, Ray Winstone.
Documentario, durata 95 min. - Gran Bretagna 2014.

Distribuito in Italia da Nexodigital; "20.000 Days on Earth" di Iain Forsyth rappresenta un immaginario viaggio della durata di un giorno, nella vita di Nick Cave. L'artista di origine australiana, oggi residente a Brighton, ha profondamente segnato la scena della musica rock degli ultimi 30 anni, colorandola con carismatiche note punk rock, a tratti visionarie, trascinando il pubblico in un mondo intimistico di forti emozioni, distinguendosi inoltre come scrittore, attore e sceneggiatore.

Chi ha avuto la fortuna di assistere ad una performance live di Nick Cave, potrà forse rintracciare nel prorompete inizio del film, la stessa adrenalinica emozione data dal suo ingresso fragoroso sul palco. Energico, vibrante come la luce del giorno, che si fá largo con forza all'interno della stanza, un sipario che si leva fragorosamente catturando la fervida attenzione dei nostri sensi.

Da questo momento in poi la pellicola scorrerà sul fil rouge della memoria, dando vita ad una rappresentazione dell'immagine allo specchio, più o meno autentica, che Cave deciderà di condividere con noi poco dopo il risveglio, in quel l'atto da lui definito di "cannibalismo" sociale, che positivamente sublima in gesto creativo.

Ed è quest'ultimo fine, che ben s'incastra nella sequenza narrativa, conferendole una valenza tripla: possiamo assistere a "20.000 days on earth" considerandolo una semplice narrazione quotidiana; individuarne i tratti distintivi di un'autoanalisi intimistica, meno formale e più romanzata di un documentario sulla vita del cantante oppure cogliere gli spunti e l'atmosfera creativa, che non solo ammantano il "dietro le quinte" della realizzazione dell'ultimo album "Push the sky away"; ma si fanno anche portavoce di un'ottimistica ventata di entusiasmo contagioso, rivolto agli artisti emergenti.
La sensazione dominante è che Nick Cave sia tanto protagonista del film, quanto silenzioso strumento guida della narrazione, che si scompone attraverso scambi dialettici di breve durata con diversi personaggi cameo, per aspirare ad un'autonomia di pensiero, in cui ognuno è chiamato alla libera interpretazione.

La seduta psicanalitica con Darian Leader, uno stream of consciousness delicato, in cui rievoca il suo innamoramento per l'arte della scrittura, passione trasmessagli dal padre, Colin Frank Cave, durante la lettura di un breve passo. Il ricordo acquista connotazioni quasi divine, di profonda devozione ed ammirazione, di elevazione dell'uomo ad uno status di suprema bellezza. La commozione finale, nel ricordarne la prematura scomparsa (avvenuta in un incidente d'auto, mentre Cave si trovava in carcere, per un piccolo furto).
Sfogliando le successive pagine della memoria, nella casa lungo le bianche coste di Dover, del chitarrista e violinsta Warren Ellis, non sorprende trovar immediatamente collegato l'aneddoto di una Nina Simone, esplosiva e trasgressiva, che ci fornisce un interessante chiave di lettura dell'interpretazione degli anni giovanili di Cave e delle sue performance sul palco.

Warren Ellis, oltre ad esser amico di lunga data, è anche membro dei I "Bad seeds" ("Fiori del male", come la stessa opera di Charles Baudelaire). La band nata nel 1983 proprio alla fine di un processo esistenziale di profondo tormento e dolore di Nick Cave, che ritrova sè stesso, dopo aver sperimentato anni londinesi di trasgressione estrema con i "Birthday Party" e successivamente la scena punk-rock dell'underground berlinese anni '80, vissuta in un minuscolo appartamento in cui conserva immagini ed oggetti "reliquia", da cui trae ispirazione per la scrittura del primo libro “And The Ass Saw The Angel”, mentre stempera una vita quotidiana ben divisa tra il consumo di eroina e la frequentazione della Chiesa.
Metafora filmica di questo lungo percorso storico, la sua discesa nel seminterrato dell'ipotetico "Archivio Nick Cave", in cui diversi collaboratori lavorano alla catalogazione della sua collezione di fotografie, video e testi scritti. Dopo la comparsa dello scatto che ritrae Susie Bicks, la moglie, dalle sembianze eteree, quasi angeliche, che per un attimo ci ricordano quell'estatica tensione al dialogo tra il mondo del divino e l'uomo, messo egregiamente in scena nella pellicola di Wim Wenders, in cui per altro Cave recita una piccola parte, vestendo i panni di sé stesso, riemergiamo all'aria aperta, pronti ad incontrare una sfavillante Kylie Minogue.

E si corre di nuovo avanti, a bordo della jaguar nera, sul cui parabrezza cade la pioggia inglese, malinconica e nostalgica, come nelle poesie di Cave, raccolte nei "Weather diary" - "I could con­trol the weather with my mood back then. I just couldn't con­trol my moods, you know."

Ma i cori di voci bianche, dei bambini della scuola Saint Martin di Saint-Rémy-de-Provence (presenti nelle canzoni: Jubilee Street, Higgs Boson Blues, Push The Sky Away, Lightning Bolts - dell'album "pUsh the sky away"), ci invitano ad una nuova atmosfera di pace, di quiete familiare, scandita dalla quotidianità delle esibizioni sul palco, per poi cullarsi tra i figli gemelli, sul divano di casa con pizza, tv ed affettuosa naturalezza.

"20.000 days on earth" termina lasciandoci col fiato sospeso, con il disappunto che si prova accomiatandosi da un caro amico, in partenza sulla nave...

Elena Arzani

Elena Arzani 
Redattrice - Inviata Speciale di Frattura Scomposta - Contemporary Art Magazine 
Art Director della Rivista Musicale Tutto Rock
 
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