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domenica 4 gennaio 2015

Quadrophenia di Franc Roddam - The Who Films - recensione a cura di Elena Arzani

“Quadrophenia” fu l’ultimo vero lavoro degli Who. Lo considero un album epocale e per questo ho voluto portarlo nel nuovo millennio. - Pete Townshend


Quadrophenia
diretto da Franc Roddam. È tratto dall'omonimo album del 1973 degli Who - Genere Dramma - Original version: © 1979 Who Films, Inc. All Rights Reserved.
Remastered version: 2014

Pete Townshend



Quadrophenia, l’opera d’arte cinematografica firmata “The Who”, diretta da Frank Roddam, sullo sfondo di un’inghilterra equamente divisa intorno agli anni ’60 dalle bade dei Mods e Rockers, in cui fa capolino un giovanissimo Sting nella parte di Ace e si consumano ribellione giovanile, mista a passione per la musica.
Colonna sonora d’eccezione per una trama ispirata all’omonimo album capolavoro degli “The Who”, pubblicato nel 1973 ed elencato tra i primi 10 dischi per importanza nella storia del Rock.
Il film nella versione rimasterizzata, esce a 35 anni di distanza dalla prima proiezione del 1979 (a solo 1 anno dalla morte di Keith Moon del 1978), nel 50° anniversario della band di Roger Daltrey e Pete Townshend, a poche settimane di distanza dall’uscita della raccolta THE WHO “HITS 50!”; mentre in radio viene diffuso l’inedito brano: “BE LUCKY”.
Lontano dal correre il rischio di apparire un semplice documentario sugli usi e costumi dell’Inghilterra di quegli anni, Quadrophenia ci regala un’avvincente viaggio all’interno della cultura giovanile, trattando tematiche care ai “The Who”, come la libertà, l’autoaffermazione attraverso la ricerca della verità ed il rifiuto delle divise pre-confezione di una società in ripresa economica.
Questi concetti, espressi anche nell’altro capolavoro della band: “Tommy”, si stemperano lungo una trama in cui scorrazzano ragazzi ben vestiti a cavallo di italianissime Vespa e rockers idolatranti una cultura americana anni ’50, vestiti con giubbotti di pelle ed in sella a grosse motociclette.

Scenario meraviglioso della pellicola, la cittadina di Brighton e le bianche scogliere di Dover, quasi ad evidenziare ancor più marcatamente i contrasti dell’animo umano nel delicato passaggio dall’adolescenza e l’età adulta. 

Se l’album “Quadrophenia” è reo di aver stravolto i canoni della musica al punto di coniare un nuovo termine “rock opera“ per definirlo; la pellicola cinematografica non è da meno e resta all’oggi il film che più di qualunque altro è stato in grado di mostrare lo stretto legame tra il rock e la ribellione giovanile; d’altra parte questo traguardo non può destar stupore, considerando che il gruppo “The Who” intorno agli anni ’70 divenne punto di riferimento della musica rock contemporanea, influenzando band come i Beatles e Rolling Stones ed i Clash che getteranno le basi del british punk.

Elena Arzani
(articolo pubblicato su TuttoRock.net il 31.12.2014) 

Quadrophenia è distribuito in Italia da Nexo Digital in collaborazione con Universal Music, Radio DEEJAY e MYmovies.it.

Elena Arzani
. Art director di TuttoRock
. Inviata Speciale/Redattrice di Frattura Scomposta Contemporary Art Magazine


giovedì 18 dicembre 2014

"20.000 Days on Earth" di Ian Forsyth, Jane Pollard, con Nick Cave - A cura di Elena Arzani

Un film di Ian Forsyth, Jane Pollard. Con Nick Cave, Susie Bick, Warren Ellis, Darian Leader, Ray Winstone.
Documentario, durata 95 min. - Gran Bretagna 2014.

Distribuito in Italia da Nexodigital; "20.000 Days on Earth" di Iain Forsyth rappresenta un immaginario viaggio della durata di un giorno, nella vita di Nick Cave. L'artista di origine australiana, oggi residente a Brighton, ha profondamente segnato la scena della musica rock degli ultimi 30 anni, colorandola con carismatiche note punk rock, a tratti visionarie, trascinando il pubblico in un mondo intimistico di forti emozioni, distinguendosi inoltre come scrittore, attore e sceneggiatore.

Chi ha avuto la fortuna di assistere ad una performance live di Nick Cave, potrà forse rintracciare nel prorompete inizio del film, la stessa adrenalinica emozione data dal suo ingresso fragoroso sul palco. Energico, vibrante come la luce del giorno, che si fá largo con forza all'interno della stanza, un sipario che si leva fragorosamente catturando la fervida attenzione dei nostri sensi.

Da questo momento in poi la pellicola scorrerà sul fil rouge della memoria, dando vita ad una rappresentazione dell'immagine allo specchio, più o meno autentica, che Cave deciderà di condividere con noi poco dopo il risveglio, in quel l'atto da lui definito di "cannibalismo" sociale, che positivamente sublima in gesto creativo.

Ed è quest'ultimo fine, che ben s'incastra nella sequenza narrativa, conferendole una valenza tripla: possiamo assistere a "20.000 days on earth" considerandolo una semplice narrazione quotidiana; individuarne i tratti distintivi di un'autoanalisi intimistica, meno formale e più romanzata di un documentario sulla vita del cantante oppure cogliere gli spunti e l'atmosfera creativa, che non solo ammantano il "dietro le quinte" della realizzazione dell'ultimo album "Push the sky away"; ma si fanno anche portavoce di un'ottimistica ventata di entusiasmo contagioso, rivolto agli artisti emergenti.
La sensazione dominante è che Nick Cave sia tanto protagonista del film, quanto silenzioso strumento guida della narrazione, che si scompone attraverso scambi dialettici di breve durata con diversi personaggi cameo, per aspirare ad un'autonomia di pensiero, in cui ognuno è chiamato alla libera interpretazione.

La seduta psicanalitica con Darian Leader, uno stream of consciousness delicato, in cui rievoca il suo innamoramento per l'arte della scrittura, passione trasmessagli dal padre, Colin Frank Cave, durante la lettura di un breve passo. Il ricordo acquista connotazioni quasi divine, di profonda devozione ed ammirazione, di elevazione dell'uomo ad uno status di suprema bellezza. La commozione finale, nel ricordarne la prematura scomparsa (avvenuta in un incidente d'auto, mentre Cave si trovava in carcere, per un piccolo furto).
Sfogliando le successive pagine della memoria, nella casa lungo le bianche coste di Dover, del chitarrista e violinsta Warren Ellis, non sorprende trovar immediatamente collegato l'aneddoto di una Nina Simone, esplosiva e trasgressiva, che ci fornisce un interessante chiave di lettura dell'interpretazione degli anni giovanili di Cave e delle sue performance sul palco.

Warren Ellis, oltre ad esser amico di lunga data, è anche membro dei I "Bad seeds" ("Fiori del male", come la stessa opera di Charles Baudelaire). La band nata nel 1983 proprio alla fine di un processo esistenziale di profondo tormento e dolore di Nick Cave, che ritrova sè stesso, dopo aver sperimentato anni londinesi di trasgressione estrema con i "Birthday Party" e successivamente la scena punk-rock dell'underground berlinese anni '80, vissuta in un minuscolo appartamento in cui conserva immagini ed oggetti "reliquia", da cui trae ispirazione per la scrittura del primo libro “And The Ass Saw The Angel”, mentre stempera una vita quotidiana ben divisa tra il consumo di eroina e la frequentazione della Chiesa.
Metafora filmica di questo lungo percorso storico, la sua discesa nel seminterrato dell'ipotetico "Archivio Nick Cave", in cui diversi collaboratori lavorano alla catalogazione della sua collezione di fotografie, video e testi scritti. Dopo la comparsa dello scatto che ritrae Susie Bicks, la moglie, dalle sembianze eteree, quasi angeliche, che per un attimo ci ricordano quell'estatica tensione al dialogo tra il mondo del divino e l'uomo, messo egregiamente in scena nella pellicola di Wim Wenders, in cui per altro Cave recita una piccola parte, vestendo i panni di sé stesso, riemergiamo all'aria aperta, pronti ad incontrare una sfavillante Kylie Minogue.

E si corre di nuovo avanti, a bordo della jaguar nera, sul cui parabrezza cade la pioggia inglese, malinconica e nostalgica, come nelle poesie di Cave, raccolte nei "Weather diary" - "I could con­trol the weather with my mood back then. I just couldn't con­trol my moods, you know."

Ma i cori di voci bianche, dei bambini della scuola Saint Martin di Saint-Rémy-de-Provence (presenti nelle canzoni: Jubilee Street, Higgs Boson Blues, Push The Sky Away, Lightning Bolts - dell'album "pUsh the sky away"), ci invitano ad una nuova atmosfera di pace, di quiete familiare, scandita dalla quotidianità delle esibizioni sul palco, per poi cullarsi tra i figli gemelli, sul divano di casa con pizza, tv ed affettuosa naturalezza.

"20.000 days on earth" termina lasciandoci col fiato sospeso, con il disappunto che si prova accomiatandosi da un caro amico, in partenza sulla nave...

Elena Arzani

Elena Arzani 
Redattrice - Inviata Speciale di Frattura Scomposta - Contemporary Art Magazine 
Art Director della Rivista Musicale Tutto Rock
 
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