mercoledì 24 dicembre 2014

"Ma io non mento al limite sto zitta. ... sto zitta." – Maria Antonietta


"...Ma io non mento al limite sto zitta. ... sto zitta." Maria Antonietta - Giardino Comunale. 
Sassi / © & Ⓟ 2014 La Tempesta Dischi.
Ph. Elena Arzani © 2014 - Festival "Ladies sing it better" - Sound Bonico - Piacenza

giovedì 18 dicembre 2014

"20.000 Days on Earth" di Ian Forsyth, Jane Pollard, con Nick Cave - A cura di Elena Arzani

Un film di Ian Forsyth, Jane Pollard. Con Nick Cave, Susie Bick, Warren Ellis, Darian Leader, Ray Winstone.
Documentario, durata 95 min. - Gran Bretagna 2014.

Distribuito in Italia da Nexodigital; "20.000 Days on Earth" di Iain Forsyth rappresenta un immaginario viaggio della durata di un giorno, nella vita di Nick Cave. L'artista di origine australiana, oggi residente a Brighton, ha profondamente segnato la scena della musica rock degli ultimi 30 anni, colorandola con carismatiche note punk rock, a tratti visionarie, trascinando il pubblico in un mondo intimistico di forti emozioni, distinguendosi inoltre come scrittore, attore e sceneggiatore.

Chi ha avuto la fortuna di assistere ad una performance live di Nick Cave, potrà forse rintracciare nel prorompete inizio del film, la stessa adrenalinica emozione data dal suo ingresso fragoroso sul palco. Energico, vibrante come la luce del giorno, che si fá largo con forza all'interno della stanza, un sipario che si leva fragorosamente catturando la fervida attenzione dei nostri sensi.

Da questo momento in poi la pellicola scorrerà sul fil rouge della memoria, dando vita ad una rappresentazione dell'immagine allo specchio, più o meno autentica, che Cave deciderà di condividere con noi poco dopo il risveglio, in quel l'atto da lui definito di "cannibalismo" sociale, che positivamente sublima in gesto creativo.

Ed è quest'ultimo fine, che ben s'incastra nella sequenza narrativa, conferendole una valenza tripla: possiamo assistere a "20.000 days on earth" considerandolo una semplice narrazione quotidiana; individuarne i tratti distintivi di un'autoanalisi intimistica, meno formale e più romanzata di un documentario sulla vita del cantante oppure cogliere gli spunti e l'atmosfera creativa, che non solo ammantano il "dietro le quinte" della realizzazione dell'ultimo album "Push the sky away"; ma si fanno anche portavoce di un'ottimistica ventata di entusiasmo contagioso, rivolto agli artisti emergenti.
La sensazione dominante è che Nick Cave sia tanto protagonista del film, quanto silenzioso strumento guida della narrazione, che si scompone attraverso scambi dialettici di breve durata con diversi personaggi cameo, per aspirare ad un'autonomia di pensiero, in cui ognuno è chiamato alla libera interpretazione.

La seduta psicanalitica con Darian Leader, uno stream of consciousness delicato, in cui rievoca il suo innamoramento per l'arte della scrittura, passione trasmessagli dal padre, Colin Frank Cave, durante la lettura di un breve passo. Il ricordo acquista connotazioni quasi divine, di profonda devozione ed ammirazione, di elevazione dell'uomo ad uno status di suprema bellezza. La commozione finale, nel ricordarne la prematura scomparsa (avvenuta in un incidente d'auto, mentre Cave si trovava in carcere, per un piccolo furto).
Sfogliando le successive pagine della memoria, nella casa lungo le bianche coste di Dover, del chitarrista e violinsta Warren Ellis, non sorprende trovar immediatamente collegato l'aneddoto di una Nina Simone, esplosiva e trasgressiva, che ci fornisce un interessante chiave di lettura dell'interpretazione degli anni giovanili di Cave e delle sue performance sul palco.

Warren Ellis, oltre ad esser amico di lunga data, è anche membro dei I "Bad seeds" ("Fiori del male", come la stessa opera di Charles Baudelaire). La band nata nel 1983 proprio alla fine di un processo esistenziale di profondo tormento e dolore di Nick Cave, che ritrova sè stesso, dopo aver sperimentato anni londinesi di trasgressione estrema con i "Birthday Party" e successivamente la scena punk-rock dell'underground berlinese anni '80, vissuta in un minuscolo appartamento in cui conserva immagini ed oggetti "reliquia", da cui trae ispirazione per la scrittura del primo libro “And The Ass Saw The Angel”, mentre stempera una vita quotidiana ben divisa tra il consumo di eroina e la frequentazione della Chiesa.
Metafora filmica di questo lungo percorso storico, la sua discesa nel seminterrato dell'ipotetico "Archivio Nick Cave", in cui diversi collaboratori lavorano alla catalogazione della sua collezione di fotografie, video e testi scritti. Dopo la comparsa dello scatto che ritrae Susie Bicks, la moglie, dalle sembianze eteree, quasi angeliche, che per un attimo ci ricordano quell'estatica tensione al dialogo tra il mondo del divino e l'uomo, messo egregiamente in scena nella pellicola di Wim Wenders, in cui per altro Cave recita una piccola parte, vestendo i panni di sé stesso, riemergiamo all'aria aperta, pronti ad incontrare una sfavillante Kylie Minogue.

E si corre di nuovo avanti, a bordo della jaguar nera, sul cui parabrezza cade la pioggia inglese, malinconica e nostalgica, come nelle poesie di Cave, raccolte nei "Weather diary" - "I could con­trol the weather with my mood back then. I just couldn't con­trol my moods, you know."

Ma i cori di voci bianche, dei bambini della scuola Saint Martin di Saint-Rémy-de-Provence (presenti nelle canzoni: Jubilee Street, Higgs Boson Blues, Push The Sky Away, Lightning Bolts - dell'album "pUsh the sky away"), ci invitano ad una nuova atmosfera di pace, di quiete familiare, scandita dalla quotidianità delle esibizioni sul palco, per poi cullarsi tra i figli gemelli, sul divano di casa con pizza, tv ed affettuosa naturalezza.

"20.000 days on earth" termina lasciandoci col fiato sospeso, con il disappunto che si prova accomiatandosi da un caro amico, in partenza sulla nave...

Elena Arzani

Elena Arzani 
Redattrice - Inviata Speciale di Frattura Scomposta - Contemporary Art Magazine 
Art Director della Rivista Musicale Tutto Rock
 
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domenica 30 novembre 2014

Wilde, Bowie & The Who

... 114 anni fà, il 30 nov del '900, moriva Oscar Wilde, dopo aver consegnato al mondo una delle opere che amo maggiormente: "De Profundis". Un libro d'amore per la vita, ma soprattutto per l'arte, scritta dall'amante che sentiva di averla tradita, per rincorrere le chimere della passione carnale, per un uomo capriccioso e ricco. Oscar Wilde fù per anni un fiore all'occhiello dell'Inghilterra bene, intelligente, raffinato osservatore della società ed i suoi vizi, impareggiabile scrittore versatile ed ironico. Nonostante il talento, la sua inclinazione sessuale, fù motivo di accanimento ed arresto. I lavori forzati ne fiaccarono corpo e mente, ma nel buio e freddo della prigione, la consapevolezza del suo talento non venne meno e con forza struggente, descrisse sè stesso, l'artista, con una bellezza di metafore che ne elevarono lo status e percezione ad universale, con riferimenti alla vita di Gesù, privi tuttavia di connotazioni alla fede religiosa, come un moderno "Tommy" degli "The Who". La società è strana, ogni tanto reclama i suoi martiri, mentre altre volte gli stessi reati ottengono reazioni opposte ed imprevedibili, basti pensare alla carriera di Bowie, che a distanza di soli 60 anni, avrebbe lentamente iniziato ad imporre una figura androgina e bisessuale alla stessa Inghilterra di Wilde. Ció che aveva condannato a morte lo scrittore, nel 1972 fà balzare in cima alle classifiche Ziggy Stardust e cementa il successo di Bowie. La moda ha portato in scena l'abbigliamento Dandy per la donna, ispirandosi allo stile elegante dei velluti cupi, del bastone e bombetta del padre di Dorian Gray...e le parole di Wilde, restano ancora oggi un'emblema di acuta riflessione sui comportamenti, nonchè vizi dell'animo umano. - Elena Arzani

venerdì 28 novembre 2014

David Bowie Is - a cura di Elena Arzani


David Bowie is


Il film ispirato alla mostra record (311.000 i visitatori) dedicata a David Bowie e conclusasi lo scorso Agosto 2014 al V&A museum di Londra, è portata sui grandi schermi da Hamish Hamilton, il regista Premio BAFTA degli Academy Awards e della Cerimonia di Apertura dei Giochi Olimpici del 2012.

Il Victoria & Albert Museum, è un’istituzione nazionale, che racchiude la storia del mondo, della società multietnica che lo ha abitato e colorato nel tempo.

Entrare all’interno delle sue sale allestite in onore del grandissimo artista David Bowie, ha tutto il sapore di una visita nella magnificenza delle Piramidi di Giza, adornate di abiti teatrali, testi ed immagini narranti le gesta dell’artista.

E’ difficile menzionare David Bowie, senza ritrovarsi davanti agli occhi i tanti personaggi da lui interpretati nel corso della carriera, ma il V&A riesce a stupirci, consegnandoci un’immagine a noi sconosciuta, che andrà ad arricchire le sfaccettature del diamante.

Nel 1947, nel vuoto più totale dei sobborghi inglesi rasi al suolo dalla guerra, nasce Davie Johns, bambino di bell’aspetto, che fin dai primi anni dimostra una spiccata personalità ed esibizionismo, al punto di esser ripreso perfino nelle pagelle scolastiche.

Davie ama disegnare, porta in tasca un taccuino pronto ad esibire, con idee, spunti e disegni, in cui tratteggia con marcata autostima, l’orientamento inevitabile della sua vita, ad 11 anni inizia a frequentare la scuola di Bromley, dimostrando un forte interesse per il rhythm and blues, ed il rock 'n' roll. Ha da poco ricevuto in dono un saxofono bianco, con il quale si cimenta ispirandosi a Little Richard.

In modo delicato, la mostra proposta dal V&A, sposta il riflettore dalla scena musicale, all’uomo, divenuto: David Bowie.
Interessante infatti notare, quanto nessuno dei curatori appartenga al mondo della musica; ancor più affascinante constatare che la maggior parte dei pezzi esposti nelle sale, provengano dall’archivio privato dell’artista, che come un moderno Faraone Egizio, non solo ha creato nei primi anni della sua carriera personaggi di fantasia ispirati al mondo ultraterreno delle stelle, degli alieni, ma ha anche conservato con estrema dovizia di particolari, tutti gli oggetti che tracciano il percorso della sua vita, unitamente a quella di ciascun personaggio inventato.

Quando David, da Bromley si trasferisce a Soho, nel cuore pulsante della Londra più irriverente, trova a mio avviso, la chiave che aprirà le porte al suo successo planetario, attraverso l’incontro con Lindsay Kemp.

Bowie, ha un’innata propensione al moderno self-marketing ed un’intuizione sottile dei desideri sopiti dell’animo umano, al pari del geniale Andy Warhol, che dall’altra parte dell’oceano riuscirà a vendere agli Americani, il loro stesso sogno americano.

Non stupisce quindi che i destini di entrambi si intreccino, si influenzino, concludendosi con l’immedesimazione cinematografica di Bowie, che meravigliosamente veste i panni del padre della Pop Art.

Lindsay Kemp, insegna a David l’arte del travestimento, dell’interpretazione o se vogliamo, l’astuzia dell’omerico Ulisse e del cavallo di Troia: dentro ad un costume, puoi essere chiunque tu voglia essere.

Come direbbe Oscar Wilde: “datemi una maschera e vi dirò tutta la verità”.
Il genio trova la via per poter esprimere senza costrizioni mentali di sorta, ogni sua inclinazione, come in un caleidoscopico turbinio di colori e performance, che lasciano tutto il mondo sbalordito.
David, come dimostrano i disegni, gli scritti ed anche numerosi video, allestiti nelle sale del V&A, è un accentratore, che pianifica ogni più piccolo dettaglio del lavoro, che segue con la stessa scrupolosità di un direttore marketing, non privo tuttavia nella vita del libertinaggio più sfrenato.

Bowie ama circondarsi di collaboratori specializzati, come lo stilista: Kansai Yamamoto; creatore dell’iconico abito in vinile nero per il tour Aladdin, che non crede ai suoi occhi, quando raggiunge il cantante a New York e lo vede scendere dal soffitto, esibendosi in performance durante le quali indossa la sua collezione d’indumenti femminili.

Ma Bowie, oltre ad esprimere un marcato interesse verso il buddismo e l’oriente, fin da ragazzo si espone in modo coraggioso per rompere le barriere degli stereotipi sessuali, della censura, provocando in continuazione l’opinione pubblica ed incuriosendola circa le sue personali  inclinazioni.

Colpo da maestro o forse mera fortuna (ai posteri l’ardua sentenza), quando nel 1972, confessa pubblicamente nell’articolo "Oh! You Pretty Thing”: “Sono gay, lo sono sempre stato, anche quando ero Davie Jones”. L’attenzione mediatica risponde alla provocazione ed in breve il suo album “Ziggy Stardust” schizza in cima alle classifiche.

Il “Duca Bianco”, vestito da Alexander McQueen, è un artista, una superstar, tra le più audaci, geniali ed eroiche, che ha tentato sempre e continuativamente di imporsi rompendo le regole, spezzando gli schemi, senza per questo proporci opere banali, ma con un occhio attento e preciso, minimalista a sprazzi, che ha saputo cogliere in circa 70 anni, tutti i tratti distintivi della società, dei suoi linguaggi: la musica, il design, la fotografia, l’arte, il cinema…

“David Bowie is” è una mostra rivoluzionaria, non tanto per la struttura proposta dai curatori, quanto per l’intento di comunicare un messaggio importante: “We could be heroes, just for one day”.

Un artista, che ha dapprima sognato la propria fortuna, per poi crearla con un incessante lavoro quotidiano, questo è David Bowie, secondo me: un eroe del nostro tempo!


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Collaboratrice in qualità di inviata speciale (fotografa e scrittrice) di: 
. "Frattura Scomposta" - Contemporary Art Magazine 
. TuttoRock - Rock, Musica, Arte e Cultura

Ora in Mostra a Chicago:







giovedì 27 novembre 2014

Azimut/h Continuità e nuovo

 
Azimut/h Continuità e nuovo
c/o Peggy Guggenheim Museum, Venezia
dal 20 settembre 2014 al 19 gennaio 2015


La mostra curata dal critico d’arte Luca Massimo Barbero celebra la breve ma intensa attività visivo-concettuale di Azimut/h, intorno alle quali ruotarono personaggi illustri delle neoavanguardie, in un percorso espositivo di 6 sale all’interno del prestigioso Peggy Guggenheim Museum di Venezia.

E’ appena terminata l’estate, quando in quel caldo settembre del ’59, Piero Manzoni ed Enrico Castellani, si incontrano ed insieme fondano Azimut/h. (due realtà distinte, differenziate solo nel lettering: Azimuth, la rivista; Azimut, la Galleria d’arte).

Ci troviamo a Milano, sono passati circa 10 anni dalla seconda Guerra Mondiale ed il capoluogo lombardo è divenuto polo di attività culturali, in un fervore brulicante e creativo, all’insegna della ripresa economica.
Piero Manzoni, ha 26 anni, studia legge all’Università del Sacro Cuore, dopo aver terminato studi classici dai Gesuiti, in compagnia di Vanni Scheiweller. Dipinge e partecipa a mostre già da qualche tempo, esponendo tele di paesaggi dipinti ad olio inizialmente, per poi dedicarsi  alle "tavole di accertamento" e gli "Achromes", che mostra nel 1958, in una personale con Enrico Baj e Lucio Fontana, padre dello Spazialismo e suo caro amico di famiglia.
Enrico Castellani ha 29 anni, si è laureato all’École Nationale Superieure, tre anni prima in Belgio, è serio e posato, amico di Bonalumi, Tobey e Fontana, si dedica come artista allo studio dell’estroflessione ed in quell’anno realizza la sua prima superficie in rilevo.

A darci il benvenuto all’ingresso del Peggy Guggenheim Museum è la “Base magica”, piedistallo sul quale il visitatore è invitato a salire e poggiare i piedi, trasformandosi in una scultura vivente; provocazione che in modo giocoso ed irriverente, tipico del pensiero Manzoniano, ci sintonizza su quello che sarà il file rouge della mostra, consigliandoci un cambiamento di prospettiva e percezione dell’opera artistica e stabilendo un dialogo diretto ed arguto in cui siamo chiamati a diventare parte integrante dell’opera stessa. Proseguendo per le sale espositive opere di Lucio Fontana, Alberto Burri, Jasper Johns, Robert Rauschenberg, Yves Klein, Jean Tinguely, Heinz Mack, compagni di viaggio di Piero Manzoni ed Enrico Castellani, daranno nuovamente vita ai mesi che dal settembre 1959, al luglio 1960, videro il travolgente operato di Azimut. 
Accompagna le creazioni più identificative, come la “Linea”; la “Merda d’artista” e gli “Achrome” di Manzoni, diverse tele di Castellani, il “Petit monument” di Mimmo Rotella; “Io sono un Santo” di Lucio Fontana ed il “Fai da te” di Jasper Johns, l’opera multimediale di Zenith, proiezione che ricrea la magica atmosfera polverosa della Milano di quei tempi e l’emozione artistica suscitata a livello nazionale ed internazionale da Azimuth. Il Catalogo monografico edito da Marsilio Editori, completa la mostra con studi scientifici ed articoli di riviste dell’epoca, documenti inediti, letture trasversali di saggi.

Elena Arzani 

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Collaboratrice in qualità di inviata speciale (fotografa e scrittrice) di: 
. "Frattura Scomposta" - Contemporary Art Magazine 
. TuttoRock - Rock, Musica, Arte e Cultura

mercoledì 7 maggio 2014

Elena Arzani ID.EA - Chapter no.1: Photography




Photography
Amatorial photographer since I was 13’s  years old. Art exhibitions, images for advertising, 
shooting ad-hoc for music bands or anything else might sound like a good-challenge, and a “must try it once”!


MAIN FEATURES:


"Monumenti Perduti#2" 
Collective Exhibition held by "Museo Archinti", Lodi (Italy)
Given subject (by Art Curator Miss Erika Vigorelli) was the S. Giovanni's Church 
in San Colombano al Lambro, Lodi. Here are a few of the images displayed



Architectural Photography
Here are a few images currently on sale

Artistic Photography
La "mise-en-scene"

Portrait Photography
The Soul
 
Street Photography
Capturing the instant
Music Performance Photography
A soulful creation
For more images
Visit

www.facebook.com/elenaarzani.design









Colofon 1st Issue "Elena Arzani ID.EA"




Issue No. 1
Creatively Made by an informal designer
named Elena: Elena Arzani 2410

ID.EA
An informal ID card

Citizen of the World
Raised in Italy
Graduated in England
Traveled the World
and keeps doing it!

The Author
A Lady who believes in  the power 
of creativity, and people.


MAIN FEATURES:

Art & Design
My family hasn’t been able to escape from art and design for over 3 centuries, 
so the least I could do, was to fall in love with the same magnificent paths!

Photography
Amatorial photographer since I was 13’s  years old. Art exhibitions, images for advertising, 
shooting ad-hoc for music bands or anything else might sound like a good-challenge, and a “must try it once”!

Graphics & Architecture
First steps of my job venture.
As a designer I “build” graphic identities, dressing with content anything needs so, before launching it in the market.

Music
I had my first go in the world of music, when I was little. Now I’ve grown much older, but haven’t managed to get rid of it, as long as I’ve got involved as a image curator and photographer... Music is no good listener!